Itinerario n. 150:
Il sentiero della Montà di Bogino
(anno 2011)


Un anello di 5 km sulle colline volpedesi tra luoghi e suggestioni pellizziane.Realizzato dall’Associazione Pellizza da Volpedo e dal Comune di Volpedo nel 2011 in collaborazione con il CAI di Tortona e con l’Associazione Pietra Verde. Il sentiero, che porta il n. 150 della segnaletica regionale ed è caratterizzato da otto riproduzioni di opere pellizziane, è stato inaugurato sabato 17 settembre 2011 nell’ambito delle manifestazioni di “Pellizza 2011”.

Scheda tecnica del sentiero dal sito della Provincia di Alessandria, “Percorsi escursionistici”: consultabile cliccando  QUI

Giallo, rosso, arancio alla Montà di Bogino
La montà di Bogino – olio su tela di 63,5×90 cm, realizzato presumibilmente tra l’autunno 1904 e l’inverno 1905 – rappresenta uno dei casi più enigmatici all’interno della produzione di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907). Il dipinto, venduto nel 1920 dalle figlie del pittore, è stato raramente esposto; dopo una serie di presenze in rassegne, concentrate negli anni cinquanta del secolo scorso, e culminate nella mostra presso il palazzo della Permanente di Milano del 1959, è entrato a far parte di una collezione privata e non ha più avuto occasioni di pubblica visione. Il catalogo della mostra del 1959, dove Pellizza era rappresentato da altre due opere, non ne riporta neanche l’illustrazione. Eppure, come scrive Aurora Scotti nel Catalogo Generale delle opere edito nel 1986 [pullquote-left]“Il paesaggio è uno dei più interessanti della produzione pellizziana dopo il Novecento e […] uno dei suoi massimi raggiungimenti”[/pullquote-left].
Contrariamente a quanto avvenuto per tanti altri suoi lavori, non compare traccia di questo nella pur poderosa messe di scritti che Pellizza ci ha lasciato. Solo un cenno, fondamentale però per gli aspetti relativi alla datazione e al titolo stesso della tela, come vedremo più avanti.
Desta inoltre perplessità il fatto che, negli oltre due anni di vita che gli avanzano dopo il compimento, il pittore non abbia mai inviata l’opera ad alcuna esposizione: la prima occasione sarà infatti postuma e si avrà nel 1920, alla grande retrospettiva presso la Galleria Pesaro di Milano, quando verrà acquistata, proprio in contemporanea alla cessione del Quarto Stato. Tra i capolavori pellizziani, dunque, La montà di Bogino presenta una bibliografia e una cronaca espositiva insolitamente ridotte, quasi scarne.
Un elemento di chiarezza è invece quello relativo al luogo riprodotto nel quadro.
Ancora Aurora Scotti: [pullquote-right] “Il campo ripreso dalla veduta raffigura due crinali collinosi che occupano un’abbondante porzione di superficie, scanditi da sottili fusti d’alberi che proiettano una marcata ombra sul suolo. Le colline sono risolte con pennellate controllatissime nello spessore e nella lunghezza, il tutto con tonalità dominante giallo-brunata (con varianti sul rosso e l’aranciato) di accesissima intensità. A contrasto con questa stesura il cielo si presenta azzurrissimo con striature bianche per le nuvole appena accennate”.[/pullquote-right]
La tonalità dei colori suggerisce un’ambientazione autunnale, in una località che doveva essere consueta a Pellizza e ai suoi famigliari: una delle loro proprietà terriere, coltivata a vite, si trovava nei pressi ed era nota proprio con il nome di “Montà di Bogino”.

L’erta immortalata
Con questo termine (“Mun-tà ‘d Bugein”, come suona nel dialetto volpedese), si intende tuttora l’erta che compare nel punto focale del dipinto: una salita ardua che certamente metteva a dura prova i buoi che trascinavano i pesanti carri dell’epoca e, successivamente, anche gli stessi mezzi agricoli a motore. Proprio per questo motivo, probabilmente, questo tratto di strada nel bosco venne tralasciato ormai 40-50 anni fa, sicché questo luogo per tanti versi evocativo era ormai irriconoscibile, coperto da una fitta vegetazione di rovi e alberi che avevano completamente invaso l’antico sentiero. Eppure la memoria di questa strada sopravviveva tenace, soprattutto tra gli abitanti della frazione Ca’ Barbieri di Volpedo: per loro, infatti, era stata, negli anni della fanciullezza, non solo una strada da percorrere per raggiungere i campi, ma soprattutto la via più comoda e “naturale” per raggiungere il centro del paese quando ancora la motorizzazione non era così diffusa. Piero Lesino racconta, con l’esuberanza che gli è propria, di quando scendevano alla domenica mattina, per la messa, e portavano in spalla “i scafarott”, le scarpe pulite di ricambio da mettere prima di addentrarsi tra le case di Volpedo. Riccardo Torlasco ricorda con nostalgia le mille corse per scendere alla casa dei cuginetti, che abitavano giù al piano, in strada Arghezzana…
Un lavoro d’equipe
A questo punto, nella primavera 2011, avviene naturale la saldatura di interessi: da una parte abbiamo i “pellizziani” che da tempo vagheggiano di aggiungere all’itinerario sui luoghi (già presente tra le vie del borgo e articolato a partire dall’anno 2000 in ormai 18 postazioni), un’ulteriore proposta di sentiero, questa volta campestre, che vada a seguire la memoria e l’ambientazione delle tele pellizziane sulle colline che circondano Volpedo; dall’altra parte gli amici di Ca’ Barbieri, desiderosi di far rivivere un tratto di strada che li riporta direttamente alla memoria degli anni verdi.
Ma non basta, nell’impresa vengono coinvolte anche le principali associazioni escursionistiche presenti sul territorio del Tortonese, il Cai (con gli amici di “Nonsolobike”) e la “Pietra Verde”, cui si aggiungono gli “Amici dell’Arte” di Serravalle Scrivia, sicché nel corso di alcune, assai intense, sedute di disboscamento – quasi del tutto condotte a mano, a forza di roncola, seghetto e forbicione – il tratto cruciale del “Sentiero della Montà di Bogino”, vale a dire alcune centinaia di metri, viene ripristinato, permettendo la creazione di un sentiero ad anello di cinque chilometri complessivi. Dopo la prima fase dei lavori intervengono anche altri amici, specie quelli che abitano nei dintorni del sentiero su cui si sta lavorando: tutti vogliono dare il proprio contributo. Pietrino Ellenici con la piccola ruspa per togliere le radici più grosse, Olivo Callegher con antica perizia rimodella buona parte del sentiero a forza di zappa, e poi Ugo Pandini, Vittorino Calissano, Maurizio Lugano… Alla fine il sentiero viene inaugurato nel corso delle manifestazioni pellizziane di settembre-ottobre 2011, ma l’impegno continua, se non altro per le necessarie opere di manutenzione annuali.

Oper poco nota, certificata dal Pellizza
Quanto al titolo dell’opera che dà il nome al sentiero, siamo certi dell’attribuzione perché è stato lo stesso autore a lasciarcene traccia: in un foglio inserito all’interno degli appunti e dei copialettere per l’anno 1905, compare infatti, insieme ad altri schizzi di cornice, il disegno che qui pubblichiamo, corredato dalla scritta: [pullquote-left]“Cornice per quadro / Montà di Bogino / a Volpedo / 18-2-1905”[/pullquote-left]. Come già anticipato si tratta dell’unico accenno relativo al dipinto presente all’interno degli scritti pellizziani. Quanto al termine “Bogino”, non abbiamo notizie certe ma solo ipotesi: potrebbe indicare un nome di persona, magari legata alle proprietà terriere adiacenti; fatto sta che, comunque, è rimasto tenacemente nella memoria popolare ad individuare con certezza il luogo.
L’itinerario è accompagnato dalla segnaletica del Cai, i cui cartellini a bande di colore rosso-bianco-rosso recano il numero 150 del repertorio regionale dei sentieri, e prende le mosse alla periferia orientale di Volpedo, in quella zona nota come Regione San Rocco per la memoria di un’antica cappelletta oggi non più esistente, raggiungibile dalla piazza Perino (piazza del Mercato della frutta) tramite via Mazzini. Al bivio di San Rocco si trova il primo dei dieci pannelli disseminati lungo il sentiero: i primi due sono solo descrittivi e funzionali al percorso, gli altri otto contengono le riproduzioni di altrettante opere. Abbandonata ben presto la strada asfaltata che va verso Pozzol Groppo, ci inoltriamo lungo una bella strada campestre sopraelevata, fatta quasi ad argine; in realtà essa serviva per convogliare verso valle, quasi fosse un canale, le acque derivanti dai temporali e dai rovesci più consistenti, affinché non andassero a compromettere i terreni circostanti, per conformazione naturale portati alla stagnazione delle acque (la cosiddetta “moglia”).

Nelle proprietà dei Pellizza
Ci troviamo ora all’interno di una sorta di “santuario” pellizziano: sulla destra abbiamo quello che era l’appezzamento Begonze, mentre più a Est, oltre strada Arghezzana, c’erano Santamaria e Filagnoni; poco più avanti lungo il nostro sentiero, sulla sinistra, c’erano le vigne di Valstria e della Montà di Bogino e, ancora più verso Ovest, Castellazzina. Il quadro delle proprietà terriere della famiglia Pellizza era completato dall’appezzamento di San Paolo, ai piedi della collina che dal cimitero di Volpedo sale al santuario della Fogliata. Il paesaggio che ci circonda è piuttosto mutato rispetto a quello di un secolo fa: la parte pianeggiante era allora occupata dai campi coltivati a cereale o a foraggio, campi punteggiati dalle file di gelsi, le cui foglie erano fondamentali per il diffusissimo allevamento dei bachi da seta; salendo verso la collina prevaleva invece la vite, accompagnata dalle rare piante da frutto (chi non ha mai sentito parlare delle ormai estinte “pesche da vigna”?). Oggi, invece, vediamo attorno a noi soprattutto pescheti (mentre gli impianti a fragola prediligono altri terreni, verso la pianura irrigua) e il bosco spontaneo si è ripreso la sua parte dopo secoli di continuo e assiduo ridimensionamento a favore dei coltivi.
Il paesaggio di due innamorati
Lungo questo tratto del sentiero, ancora in piano, ci vengono improvvisamente incontro due giovani innamorati; la lunga veste rosata di lei copre quasi completamente il corpo di lui, di cui intravediamo solo il volto. Entrambi hanno il viso leggermente piegato verso la collina sulla loro sinistra, destra per noi che saliamo, le loro figure sono stagliate sullo sfondo di un vigneto, i cui filari posti in orizzontale risalgono ordinatamente il pendio. Siamo di fronte a L’amore nella vita (pannello sinistro): con questo titolo si intende un’opera che in origine doveva costituire il secondo tassello di un pentittico pellizziano dedicato alla glorificazione dell’amore. Nella rassegna postuma di Venezia del 1909, i curatori Ojetti, Morbelli e Bistolfi codificarono il ciclo escludendo il primo e l’ultimo pannello, esponendo quindi un trittico, avente per titolo L’amore nella vita (pannelli sinistro, centrale, destro). La tela di cui stiamo ammirando la riproduzione è stata ultimata nel 1901, mentre dell’anno successivo è quella appena seguente, che presenta una scena e un paesaggio del tutto affini: si tratta di Passeggiata amorosa, un tondo dove l’idillio degli innamorati sembra essere colto nel movimento di ritorno rispetto alla scena precedente: infatti ora essi avanzano da destra verso sinistra e ci accompagnano nella nostra avanzata.
Arriviamo a una netta svolta a sinistra, indicata da un segnavia collocato sul tronco annoso di un albero di melo: qui inizia il tratto della “Montà di Bogino” recuperato all’abbandono. Il coltivo lascia ora il posto al bosco, anche se sulla nostra sinistra vediamo chiaramente, tra gli alberi, i residui di quella che fu una vigna (palerie, fili di ferro, il caratteristico contenitore in cemento per la preparazione dell’acqua di verderame…). È questo certamente il tratto più affascinante dell’itinerario, vuoi per la suggestione dei luoghi e della memoria, vuoi per la presenza rarefatta del bosco. Un tratto in salita porta a una radura e a uno slargo, dove si affaccia la scena del dipinto: la rovina di terra sulla sinistra è stata liberata dai rovi e si presenta di nuovo alla vista. Di fronte abbiamo il tratto in ripida salita, quasi un budello tra la vegetazione, con in fondo un’apertura di azzurro, inattesa tra i rami. Vista da qui sembra prevalere con evidenza un’altra ipotesi interpretativa sul nome: “Bogino” non inteso come cognome ma come “piccolo buco”, il pertugio oltre il quale la vista sale e corre a ritrovare l’apertura del cielo…

Scenari d’autunno
Ma è ora di procedere, la strada da percorrere è ancora lunga. Lasciamo la radura nel bosco – dove c’è in progetto la costruzione di un’area attrezzata di sosta, con tavolo e sedie – e superiamo l’erta oltre la quale troviamo il pannello di Valletta a Volpedo (1904-1905), un paesaggio autunnale caratterizzato dalla presenza di un grande castagno.
Procediamo oltre e, dopo aver lasciato alla nostra sinistra la deviazione per Ca’ Barbieri, troviamo la riproduzione di Sera d’autunno, o Valpozzo (1903), che è il nome della valletta che si apre davanti ai nostri occhi e scende digradando verso destra.
Sullo sfondo la collina di Monleale, che pure caratterizza e dà il nome alla postazione successiva: questa volta si tratta di un disegno a carboncino e gesso, Paesaggio con la collina di Monleale sul fondo (1903-1904).

Dalla terrazza, Volpedo e la pianura
Da qui ha inizio la seconda parte dell’itinerario, più escursionistica e naturalistica: per lungo tratto, infatti, non troveremo altri pannelli con le riproduzioni di opere, ma solo la segnaletica che indica le svolte del sentiero. Attraversiamo le case della Cascinetta e saliamo in direzione delle pendici del Poggio, l’altura che sovrasta Volpedo con i suoi 500 metri di quota e che caratterizza tanti paesaggi pellizziani. Un’ampia svolta verso destra ci porta ora al punto culminante e panoramico della gita: la vista spazia sulle colline di Monleale, su Volpedo e oltre, verso la pianura. Scendiamo allora alla cascina Buffalora, un luogo splendido e appartato, oggi abbandonato e purtroppo parzialmente devastato da un incendio, che non ha però intaccato un’imponente quercia che si trova a fianco del cascinale, caratterizzata da una sorgente alla base della pianta stessa. Non è possibile dissetarci, ma almeno possiamo rinfrescarci, prima di affrontare la brusca e panoramica discesa che ci porta rapidamente in strada Arghezzana e da lì, dopo un lungo e digradante rettilineo, alle ultime due postazioni, che preludono alla conclusione del percorso: si tratta di Paesaggio presso il prato del Pizzone (1903-1904), dove il termine utilizzato è chiaramente una derivazione del dialettale “pissou”, cioè il caratteristico terreno fatto a pizzo, a triangolo, che ancora oggi ci sta di fronte, delimitato dalla strada Arghezzana da cui proveniamo, e dalla strada Clementina nella quale stiamo per immetterci. Poco più avanti, dopo la grande riproduzione di La neve, che fa parte dell’itinerario “urbano”, ecco l’ultimo dei nostri pannelli: Paesaggio presso Volpedo, Regione San Rocco (1897, oggi di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona).
Siamo ormai tornati alle porte di Volpedo, dove l’itinerario si conclude.
Pierluigi Pernigotti
In attesa di pubblicare ulteriori materiali, rimandiamo alla scheda e alle immagini contenute nel documento riassuntivo della nostra biennale pubblicato su questo stesso sito. Clicca qui per andare al documento.

Del sentiero pellizziano si parla anche sul numero 137 della rivista “Oltre” (settembre – ottobre 2012); l’articolo in pdf è disponibile cliccando qui.
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La cartina dell’itinerario è disponibile cliccando qui; per scaricare il percorso su Gps, clicca qui; per la visualizzazione su Google Earth clicca invece sulla mappa riportata qui sotto (grazie a Michele Soffiantini per le elaborazioni cartografiche).

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